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Critica

Apporti critici

Prof.essa Donatella Taverna, critica d’arte
Francesco De Caria, storico dell’arte  

Elvio Arancio, la trascendenza attraverso forme e colori

Prof.essa Donatella Taverna, Critica d’arte

Nella seconda metà del Novecento l’arte anche in Italia è stata trascinata per una assimilazione a culture di area linguistica anglosassone pragmatiche e poco radicate nel passato, verso una illusoria volontà di iperrealismo, incoraggiata dalla crescita esponenziale delle possibilità tecniche legate al digitale.
L’esito, sul mercato artistico internazionale, è ormai, dopo decenni di tale cammino, uno spaccio trionfale di banalità con titoli altisonanti e denominazioni eccentriche, oppure di immagini che discendono da allucinazioni più o meno consapevoli.
C’è però chi si salva, e forse ci salva, da questo livellamento al basso, grazie ad un cammino in senso inverso: se il mondo occidentale corre verso un materialismo cieco e come incapace di vedere l’essere umano al di là delle proprie funzioni biologiche e della propria dimensione fisica, l’artista consapevole si volge al misticismo, alla meditazione spirituale, e cerca nelle pieghe della vita quel superiore afflato che rivela l’ordine e la grandezza divina. Pochi fra le generazioni dopo il ’68 hanno avuto questo dono.
Ma fra essi è certamente da sempre Elvio Arancio, italiano di Tunisi, aiutato da questa origine a dedicare attenzione sia alla cultura classica quale tradizionalmente veniva trasmessa in Italia fino a pochi anni fa, dunque un modo di pensiero e di formazione umanistico, sia alla ricchezza spirituale delle culture dell’oriente vicino e medio.
La lettura ad esempio degli antichi mistici e poeti persiani, che fu rilanciata anche in Italia da una lucida politica editoriale negli anni ’60 e ’70 del Novecento, e che oggi è nuovamente accantonata, suggerisce però una visione del mondo ricca e profonda, la capacità di entrare nel segreto fluire del creato che non è un coacervo di casualità, né un mucchio informe di realtà da tradurre in virtuale o tridimensionale, ma che ha una sua musica segreta, superiore, ritmica e matematica, capace di costituire l’occulta ragione dell’esistenza.
Questo ritmo alto e puro informa di sé il lavoro di Arancio, che non a caso si è rivolto all’uso dell’argilla, dunque ad una forma artistica che sfocia consuetamente nella ceramica, e che consente anche un uso cromatico particolarmente ricco.
Ma l’argilla è anche parte costitutiva della natura – il Dio , secondo molte tradizioni semitiche, forma l’uomo con l’argilla – tramite fra la materia e lo spirito: Elvio Arancio su questa argilla agisce prima conferendole forme prevalentemente geometriche – soprattutto circolari – e poi decorandole con ritmi regolari, luminosi, capaci di riflettere l’armonia che governa le cose: il respiro segreto dei fiori che si sviluppano e sbocciano, e che ruotano nel continuum ciclico del tempo della natura, il battito regolare del volo delle farfalle, lo spargersi dei pollini nell’aria che ha la stessa forma dell’espandersi del cosmo. Se nell’arte astratta era presente un preciso valore spirituale, poteva essere questo: risalire ad una sorta di idea platonica del mondo, inevitabilmente destinata a trascendere forme naturalistiche, che sono puri accidentia.
Di questa ricchezza si è via via impadronito Arancio, proprio osservando le policrome ceramiche arabe e vicino orientali, spesso caratterizzate da motivi decorativi iterati, simmetrici o ripetitivi. Tuttavia a questo strumento ha conferito ciò che fa lo scarto fra l’artigianato e l’arte, una profondità spirituale di significato, un messaggio filosofico e teologico.
Ogni tratto, nell’opera di Arancio, ha un proprio significato specifico: una forma che può rappresentare simbolicamente altro; in colore che a seconda delle sfumature e del tono allude a temi diversi.
C’è un colore per il divino (il turchese) e un colore per la trasformazione, un colore per la vita terrena e un colore per il pensiero. Le sue nicchie di preghiera, talora specchi, consentono a chi vi si pone davanti una meditazione su se stesso e sul senso della propria esistenza.
Certo bisogna avere una coscienza vigile ed una mente aperta, perché potrebbe coglierci la tentazione di vedere, di queste opere, solo l’esteriore bellezza.
E’ anche vero che già la semplice bellezza esteriore, che è equilibrio e armonia, ha il potere di riconciliarci e di fare migliore il mondo.

Il ritorno alla Koinè mediterranea nella ceramiche di Elvio Arancio.

Francesco De Caria Storico dell’arte

In una intervista del 1986, l’Artista sottolinea la propria preparazione tecnica non “ufficiale”, ma conseguita osservando il fare degli artisti-artigiani che operavano nei laboratori posti lungo le strade delle città arabe delle coste meridionali del Mediterraneo che egli, come molti altri, considera punto di incontro fra Europa cristiana e Mondo islamico.
Una profonda traccia nel suo immaginario l’ha lasciata infatti l’infanzia trascorsa a Tunisi, città natale, nel quartiere dei tintori, per cui ricorda con affetto e nostalgia la festa di colori dei tessuti stesi, delle lane e delle fibre, la folla delle strade. Tunisi – forse per i più oggi semplicemente città araba – conserva l’antica suggestione di Cartagine, con tutto quanto la Storia riporta, è araba dal X secolo circa, ma vi si muovono i “fantasmi” dell’ottava Crociata: forse anche da qui il germe dell’interesse di Arancio per la storia, forse anche di qui la sua moderazione e la sua apertura agli altri, la profonda simpatia per il prossimo in quanto persona tout court.
Una profonda simpatia e profondo coinvolgimento retti da alti ideali. E’ da sottolineare in particolare l’interesse per il passato che anima Elvio Arancio, un passato storico, che dà senso al presente, interesse pari almeno all’avversione per la superficialità in tutti i campi, compresa l’insipienza tecnica nel campo di tanta arte contemporanea.
Le suggestioni storiche tuttavia non offuscano la grande attenzione per la contemporaneità che egli conosce direttamente in tanti Paesi Mediterranei in viaggi compiuti dopo gli studi condotti in Italia, dove la famiglia si è trasferita negli anni Sessanta. Di quei Paesi studia l’espressione artistica, direttamente in incontri e frequentazioni dei laboratori artistici dei maggiori maestri. Lo affascina in particolare la ceramica e ne studia i segreti presso gli atéliers, sino a giungere ad una tecnica raffinatissima.
Lavora a Milano in un laboratorio ricavato in un’antica fornace – ancora la suggestione della storia! – e la sua produzione ceramica è riconosciuta in Italia e all’Estero. La breve ésquisse biografica ci è parsa necessaria per comprendere a fondo il suo operare nel campo della più antica arte, la ceramica, frutto dell’Idea, certo, ma anche dei quattro elementi, acqua, terra, fuoco, aria, il che le conferisce una dimensione mistica.
Elvio Arancio riprende volentieri motivi religiosi, che all’osservatore superficiale o semplicemente dalla cultura incapace di andare al di là della razionalità e del dato positivo sfuggono: ed ecco la farfalla/psiche, ecco i profondi azzurri, ecco i girali – propri anche del mondo bizantino che rimandano all’ Eden, ecco le porte o le finestre – i mihrab – soglia di un Oltre, il cui vano in una recente opera è sostituito da uno specchio, che rimanda all’assunto di guardare profondamente in sé, ma che può essere interpretato come impossibilità di veder oltre se stessi; ed ecco il motivo ricorrente del cerchio, simbolo dell’Eterno e del ritorno rinnovato delle cose, motivo morale che ammonisce sulla precarietà di ogni posizione raggiunta, motivo che unisce – nei rosoni delle cattedrali gotiche del resto finanziate da chi l’Oriente islamico lo conosceva bene o perché vi aveva combattuto in crociata o perché vi teneva fondachi commerciali e ne aveva importato nuovi spunti di conoscenza. Concludo con un ricordo di quella piacevole intervista con Elvio Arancio, che alla mia domanda su quale esigenza intima si celasse dietro il suo gesto artistico così mi rispose:”
L’ Arte per me rappresenta il lieto tentativo di esprimere bellezza, ritengo che ognuno, nelle proprie specificità, dovrebbe adempiere a questo compito, poiché generare, edificare, esprimere bellezza significa amare. Amare la Creazione e tutte le sue Creature”.